Tratto da "Il bello della bicicletta" di Marc Augè (pagg. 64-65):
"La moda della bicicletta è legata senza dubbio, almeno in parte, a un fenomeno di opinione, ma appena siamo in sella cambia tutto, ritroviamo noi stessi, riprendiamo possesso di noi. E' la nostra storia personale ad accudirci.
Il mondo esterno si impone concretamente nelle sue dimensioni fisiche. Ci resiste e ci obbliga ad uno sforzo di volontà, ma allo stesso tempo, si offre a noi come spazio di libertà intima e di iniziativa personale, come spazio poetico, nel pieno e primo senso del termine.
I bambini, più degli adulti, sono naturalmente filosofi e si fanno continuamente domande. Non sono ancora abituati, e lo spettacolo delle cose inerti li sorprende tanto quanto quello delle diverse forme di vita.
Allo stesso tempo si comportano come i poeti: giocano, inventano delle storie e, a differenza degli adolescenti, che rischiano sempre di scontrarsi con i sogni diurni e di sfiorare la nevrosi, come ci ricorda Freud nel suo intervento Il poeta e la fantasia, i bambini sanno distinguere tra le cose, tra il mondo ludico e la realtà. L'uso della bicicletta per un verso ci ridà lo spirito del fanciullo e per un altro insieme al senso del reale ci restituisce la capacità di giocare. Si lega così a una sorta di richiamo (nel senso del richiamo per i vaccini), ma anche di formazione continua e forse anche di qualcosa che potrebbe rassomigliare alla felicità.
Il solo fatto che l'uso della bicicletta offra una dimensione concreta al sogno di un mondo utopico in cui la gioia di vivere sia finalmente prioritaria per ognuno e assicuri il rispetto di tutti ci dà una ragione per sperare: ritorno all'utopia e ritorno al reale coincidono. In bicicletta, per cambiare la vita! Il ciclismo come forma di umanesimo."
Siamo costantemente condizionati dalla società a comportarci come viene imposto da chi questa società l'ha plasmata e continua a comandarla con la forza dei soldi e dei mezzi di produzione.
Molte volte mi sono dovuto scontrare con il mio desiderio di trovare un pizzico di felicità sui pedali a causa della massiccia e incessante presenza delle automobili e furgoni lungo le strade della mia città.
Non appena si compiono 18 anni, ecco che tutti vogliono buttarsi in questo groviglio, in questa "discarica mobile" che porta in giro a velocità pazzesche come missili corpi fermi che non ricevono stimoli esterni, ma anche a velocità da bradipo.
La bicicletta si pone in mezzo, non costituisce un pericolo per nessuno, ma non c'è spazio per loro se non su ridicole piste ciclabili che testimoniano quanto le città, quanto il nostro mondo, sia stato costruito per la velocità, per il consumo, contro il rispetto del prossimo e contro la convivialità.
Voler uscire in bici e riuscire a prenderla nonostante i mille pericoli è un grande atto di coraggio e di amore verso noi stessi, il prossimo, la nostra città e l'ambiente, ed è proprio vero: quando pedaliamo siamo noi stessi, sia perchè dobbiamo essere abili nel superare i più svariati ostacoli e portare a casa la pellaccia, sia perchè l'aria in faccia, e il mondo circostante visto ad una velocità più umana, ci ravvivano, ci portano a pensare cose ad esempio su com'è strutturata la città, sui suoi abitanti, sugli stimoli (spesso negativi) che ricevono dai cartelloni pubblicitari, ecc.
Durante il tragitto in bici si è felici, quando si arriva al punto prescelto si è soddisfatti.
Con l'auto, l'unico modo per ottenere queste belle sensazioni, è sgasare cercando con rabbia di superare tutte le altre auto poste davanti pensando così, che in cima al gruppo, e da soli, si possa guadagnare qualcosa. Cosa? Niente, perchè quello scatto è di rabbia e perchè si troverà un altro gruppo di auto in fila, un altro intasamento.
La velocità delle auto è illusione pura, oltrechè malattia che porta alla morte diretta!
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